LE AUTO DI FAMIGLIA

ALFA ROMEO GIULIA GT 1300 JUNIOR

La Giulia GT 1300 Junior 1966-1971 (che durante l'ultimo periodo di produzione perderà il nome Giulia, anche ufficialmente) fu un'auto sportiva (coupé 2+2) costruita dall'Alfa Romeo (codice del tipo di autotelaio 105.30; motore 00530). Fu l'erede della mitica Giulietta Sprint. Nata come versione più economica della Giulia Sprint GT 1600, per evidenti motivi di costo d'acquisto e gestione, divenne poi più famosa della sorella maggiore acquistando una diffusione ed una fama anche sportiva di rilievo.

La prima serie era caratterizzata dal cosiddetto "cruscotto piatto", dotato di quattro strumenti che includevano l'indicazione della temperatura dell'olio motore. Nella sua prima versione (il primo anno con freni a disco Dunlop) mancava di dotazioni ritenute già all'epoca quasi essenziali come il servofreno, mentre la seconda versione recava solo alcune piccole modifiche tra le quali appunto il sevofreno, disponibile anche in kit per post-equipaggiare le vetture sprovviste. La seconda serie (1969) costituì una svolta, con l'adozione di un nuovo cruscotto simile a quello della GT 1750, ruote da 14", barra stabilizzatrice posteriore, frizione a comando idraulico e alternatore al posto della dinamo. Le prime due serie sono anche denominate "scalino", con riferimento allo spazio che intercorre tra il bordo anteriore del cofano ed il piano del frontale. Lo "scalino" accomuna le prime due serie della Gt Junior con le Sprint GT e le GTA. La GT Junior era una sportiva vera, con tutte le qualità dei modelli di maggiore potenza e cilindrata quali la Sprint GT da cui derivava.

Lo "scalino" accomuna le prime due serie della Gt Junior con le Sprint GT e le GTA. La GT Junior era una sportiva vera, con tutte le qualità dei modelli di maggiore potenza e cilindrata quali la Sprint GT da cui derivava. Dotata di quattro freni a disco e grazie anche alla massa abbastanza ridotta, era molto ben frenata. Le sospensioni posteriori a ponte rigido soffrivano sullo sconnesso e accusavano una certa leggerezza su fondi a scarsa aderenza, ma nel complesso la tenuta di strada era molto elevata e soprattutto sincera, anche tenendo conto della tecnologia degli pneumatici di allora, che imponeva scelte oggi ritenute obsolete come il camber positivo all'avantreno e costringeva a fare i conti con carcasse e battistrada dalla deriva molto pronunciata, con evidenti problemi di deformazione in appoggio.

Accelerazione e ripresa erano notevoli, data la cilindrata, però con consumi sensibili. La velocità massima superava i 170 km/h, dato molto alto in assoluto e soprattutto in considerazione del fatto che, con il rapporto piuttosto lungo della quinta marcia, era possibile tenere medie elevate senza problemi di affaticamento o surriscaldamento. Il cambio a cinque marce (all'epoca riservato a pochissimi modelli sportivi), con la quinta "lunga", era molto maneggevole e ottimamente sincronizzato.

L'escursione della leva inclinata era molto ampia, il che influenzava negativamente la velocità di cambiata. L'impianto di raffreddamento era molto efficace anche se munito di ventola trascinata da cinghia e non elettrica. Le valvole di scarico erano cave, con all'interno sodio che fungeva da equilibratore della temperatura. Le candele erano a "quattro punte" il che contribuiva a limitare l'imbrattamento ai regimi intermedi ed eliminava la necessità della registrazione periodica del gap degli elettrodi.


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